MOSTRA CONVEGNO 

OLTRE LE BARRIERE DELLA COMUNICAZIONE 

Cantù 25 Settembre 2010

RELAZIONE

Prof. Luigi d'Alonzo, ordinario di pedagogia speciale all'Università di Cattolica di Milano, a lui la parola per illustrare "La comunicazione nella gestione della classe", come momento necessario a che la competenza educativa e didattica dell'insegnante si traduca in effettiva integrazione e inclusione del soggetto disabile e particolarmente per l'alunno affetto da minorazione uditiva.

La comunicazione nella gestione della classe

L’istituzione scolastica assume nella società contemporanea un ruolo ed una importanza fondamentali, essa non è solamente depositaria del patrimonio culturale della nostra civiltà, ma rappresenta anche un contesto formativo indispensabile per la crescita personale e sociale della persona. Se ci riferiamo, poi, a particolari fasce di allievi, a soggetti con deficit intellettivi più o meno pesanti, riscontriamo che la scuola non solo rappresenta un momento decisivo della loro vita, ma è probabilmente l’esperienza educativa fondamentale.

L’esperienza Italiana di integrazione scolastica di persone con deficit ha, oramai, molti anni alle spalle, è un’esperienza formativa complessa che ha modificato radicalmente la scuola Italiana e ha contribuito alla maturazione di atteggiamenti d’attenzione e di riconoscimento dei diritti fondamentali della persona nella società. Non possiamo non riconoscere il cammino che il nostro paese ha intrapreso nell’offrire opportunità di crescita fondamentali anche alle persone più “diverse” di tutti, come i soggetti con deficit intellettivo.

Per fortuna il nostro paese ha capito, certamente prima di molti altri Stati occidentali con maggior sviluppo economico, che il soggetto disabile ha diritto di integrarsi nella società e, quindi, di entrare nelle scuole comuni e di affrontare un piano di interventi educativi integrati in grado di rispondere ai suoi bisogni individuali.

Cosa possiamo dire dopo circa 40 anni di esperienze formative di integrazione nelle scuole comuni? Quali considerazioni possiamo fare dopo avere sperimentato per più di due decenni un’esperienza che non ho timore a definire “rivoluzionaria”? Perché questa scelta pedagogica fu di una tale portata innovativa da contribuire a modificare l’intera scuola Italiana in tutti i suoi aspetti pedagogici e didattici. L’inserimento nelle classi del soggetto disabile ha postulato che la scuola stessa dovesse non solo accettare tale novità, ma anche agire, promuovere, ideare un nuovo modello educativo didattico capace di far fronte ai grandissimi problemi che tale novità comportava.

-Dove si lavora bene la scuola ha imparato non solo ad accettare ed accogliere l’allievo con deficit, ma ha aperto necessariamente le porte ai contributi esterni, ha appreso a dialogare con medici, psichiatri e specialisti della riabilitazione, innestando un processo di costruzione unitaria di percorsi educativi e riabilitativi e di comunicazione multidisciplinate e plurispecialistica, che ha enormemente aiutato la maturazione dell’istituzione educativa. Il contatto con i servizi sociali comunali e socio-sanitari ha favorito quell’apertura al territorio che ha dato sviluppo all’interesse educativo verso la realtà, valore aggiunto per ogni processo formativo che voglia preparare alla vita. L’inserimento stesso nel gruppo classe ha costretto gli insegnanti a promuovere un radicale cambiamento nel modello didattico tradizionale, quello cattedratico e soprattutto nei cicli inferiori si sono notati, in questi anni, delle innovazioni metodologiche molto interessanti: la didattica classica ha lasciato il passo a metodi di insegnamento molto più attenti ai bisogni della persona, in grado di corrispondere effettivamente alle esigenze degli allievi. Possiamo certamente sostenere che il benessere degli studenti è aumentato in modo consistente in quanto l’interesse verso la persona “educando” è diventato l’aspetto primario del lavoro degli insegnati, relegando in subordine il programma ministeriale, vero “totem” intoccabile della scuola tradizionale. L’integrazione della persona disabile ha favorito, inoltre, l’abbattimento di un altro muro nel nostro modello scolastico, quello della incomunicabilità fra docenti. Si è capito che è irragionevole ostacolare la collaborare in campo educativo, non si possono affrontare i problemi senza collegamenti ed unità d’intenti fra insegnanti, si parla oramai di team, di gruppo docente, finalmente la classe non “appartiene” più al singolo educatore geloso custode di segreti didattici ed esclusivi rapporti relazionali con educandi e famiglie. Gli insegnanti non possono vivere come monadi isolate la loro professione, si opera in modo competente e significativo solamente programmando in gruppo ed operando in modo condiviso con gli allievi, non solo all’interno di una classe, ma più globalmente anche a livello di plesso scolastico. L’introduzione della figura dell’insegnante di sostegno ha sollecitato questo processo innovativo che ha permesso alla scuola Italiana di procedere spedita verso obiettivi ambiziosi. Tutto ciò rappresenta certamente un bagaglio di esperienze pedagogiche e didattiche significativo e un patrimonio della scuola, la quale, pur con i suoi problemi di ordine strutturale e burocratico ha saputo incamminarsi verso mete educative e pedagogiche molto elevate che altre paesi ci invidiano.

Riflettere su questa esperienza è, però, certamente utile perché permette di guardare al terzo millennio con maggiore consapevolezza e lungimiranza.

Favorire una nuova fase dell’integrazione

Il cammino dell’integrazione è giunto ad un punto delicato, le conquiste fatte in questi anni hanno bisogno di consolidarsi, gli atteggiamenti maturati e le competenze acquisite meritano di non essere dispersi per non dover regredire a fasi del passato superate a fatica. La nostra è sempre più una società difficile, dove le competenze necessitano di essere continuamente aggiornate ai nuovi progressi del sapere. Le persone sono costrette ad un costante impegno per non rimanere escluse dalle conoscenze,

Ne deriva un compito importantissimo dei “sistemi di istruzione”: dare a questi individui le chiavi di lettura e di comprensione più idonee per affrontare una società così complessa. Emerge la necessità che la scuola faccia un salto di qualità, indispensabile per poter irrobustire le abilità di questi allievi.

È urgente una nuova fase, occorre mettere in campo una nuova prospettiva pedagogica per poter aiutare i disabili a vivere in questo mondo; deve essere progettato un nuovo ciclo integrativo: la conduzione integrata dell’apprendimento, cioè, la gestione consapevole di un’esperienza educativa in un ambiente ricco di istanze sociali e relazionali come la classe.

Molti insegnanti ultimamente manifestano forti preoccupazioni nel condurre una classe in modo da rispondere ai bisogni di tutti e di ciascuno. Gli allievi sono sempre più difficili, assai raramente si incontrano gruppi classe dove le attività di insegnamento non richiedano grande investimento da parte dei docenti per mantenere un clima educativo idoneo all’apprendimento; molto spesso i ragazzi obbligano ad un impegno elevato volto a salvaguardare relazioni educative fondate sul rispetto delle regole minime di convivenza civile. Non è assolutamente semplice insegnare a gruppi di allievi con bisogni personali molto diversificati, il problema non è il ragazzo con deficit portatore di bisogni speciali, ma in classe spesso l’insegnante si trova di fronte alunni con necessità a cui è difficile rispondere: soggetti con problematiche comportamentali, allievi con incapacità attentive marcate, studenti con vissuti affettivi e familiari spinosi, ragazzi privi di interesse per le attività di apprendimento. Un nuovo fenomeno, inoltre, sta emergendo e pesantemente condiziona la vita scolastica, ossia l’inserimento di studenti extracomunitari. La presenza di un bambino o di un ragazzo “straniero” di per sé non è assolutamente problema, ma lo diventa quando proviene da una famiglia deprivata. Molti di questi allievi, purtroppo, insieme ai loro genitori sono catapultati in una situazione di vita ambientale e sociale che stentano a comprendere e a condividere.

È facile comprendere, quindi, come sia davvero complesso condurre una classe con tante differenze personali e culturali. Il soggetto disabile, così, non rappresenta più il “problema della classe”, ma le sue difficoltà diventano parte di una preoccupazione educativo-didattica più grande, che coinvolge in uguale misura le istanze e le necessità personali di ogni soggetto chiamato a vivere un’esperienza scolastica significativa.

Si impone la necessità impellente di trovare metodi di conduzione integrata della classe, capaci di corrispondere ai bisogni di ogni allievo.

Conduzione integrata

La classe che ha successo nell’integrazione dei suoi allievi e, quindi, anche del soggetto sordo, è una classe che è predisposta ad accettare le necessità personali, ma, soprattutto, sa accogliere tutte le diversità ed incontrare i bisogni di ogni alunno.

Se focalizziamo l’attenzione sul fatto che occorre, all’interno di un’aula e di una scuola, impostare una vita di gruppo per rispondere alle esigenze specifiche di ognuno, possiamo arrivare a comprendere come sia oramai fuori luogo parlare di integrazione riferendoci solo al soggetto disabile: è doveroso e necessario capire come favorire le ”integrazioni” nella classe. La scuola e soprattutto la scuola Italiana, la quale ha già compiuto come si è visto, un lungo percorso di maturazione educativa e didattica, è chiamata ad un ulteriore passo innovativo sulla visione pedagogica della diversità: ogni singolo ragazzo porta i suoi specifici bisogni che devono essere riconosciuti, accettati e ai quali occorre rispondere.

Occorre, quindi, parlare di integrazioni, è necessario partire da questo concetto perché essenziale nel dipanare le forti preoccupazioni odierne degli insegnanti.

Innanzitutto, perché significa prendere coscienza di un dato di fatto: la scuola Italiana è cambiata in quanto i ragazzi sono diversi. Tanto diversi da obbligare i docenti a modificare i normali canoni di conduzione della classe. I vecchi metodi non funzionano più, il rispetto degli allievi è oramai diventato una conquista quotidiana, i ragazzi non si accontentano più della solita lezione cattedratica, per motivarli all’impegno occorre grande impegno e dispendio fisico da parte del docente.

Secondariamente, è necessario parlare di integrazioni perché la situazione delle classi sta diventando sempre più esplosiva sul piano disciplinare. I comportamenti di molti allievi hanno costretto gli insegnanti a comprendere che la soluzione passa solo attraverso un’attenta opera educativa capace di far vivere ai soggetti forti esperienze di impegno comunitario.

In terzo luogo, in quanto parlando di integrazioni si conferma un concetto che oramai da molti anni la pedagogia speciale sta portando avanti: ossia che la maturazione della persona, anche quella con deficit, passa obbligatoriamente attraverso la convivenza socio-relazionale con gli altri. È solo nel rapporto stretto esperienziale con le altre persone che il soggetto difficile può crescere e maturare le potenzialità.

Emerge il problema, quindi, di come favorire le ”integrazioni” , come agire per impostare una vita di gruppo atta a soddisfare le esigenze specifiche di ogni allievo.

Affiora pressante il tema della conduzione integrata di una vita di classe e di gruppo efficace. Si eleva preponderante il problema della conduzione e della gestione educativo-didattica di un gruppo di allievi chiamati a vivere esperienze relazionali, sociali e di apprendimento capaci di favorire la maturazione delle loro potenzialità. Le ricerche ci dicono, infatti, come <<la conduzione della classe sia il fattore che più influenza l’apprendimento e la maturazione personale degli allievi>>.

La conduzione della classe diventa necessariamente un fatto determinante per la vita degli allievi, è un tema da affrontare per trovare le giuste soluzioni educative capaci di favorire le integrazioni personali e sociali.

Quali orientamenti

Da un’attenta disamina degli studi e delle ricerche effettuate nel campo della gestione della classe possiamo desumere direttive educative e metodologiche in grado di far fronte alla complessità sempre crescente del lavoro didattico in classe.

Innanzitutto, è da mettere chiaramente in evidenza cosa intendiamo per gestione della classe. Le definizioni sono numerose ma concordano tutte su un dato di fatto: “gestione della classe” non è sinonimo di “disciplina”. Troppo spesso si confondono i due concetti; per disciplina intendiamo il controllo del comportamento inadeguato, nei suoi vari aspetti concernenti la nascita del problema in classe, la sua manifestazione sociale con gli atteggiamenti e comportamenti non conformi espressi, e le azioni educative conseguenti a tali manifestazioni atte a correggere e modificare simili condotte. <<Il concetto di gestione della classe è più largo di quello della nozione di disciplina. Esso include tutte le cose che un insegnante deve fare per promuovere il coinvolgimento e la cooperazione dell’allievo nelle attività di classe e stabilire un produttivo ambiente di lavoro>>. Anche Brophy concorda con queste idee quando afferma che <<la ricerca ha stabilito che le classi che funzionano bene sono il risultato di sforzi incessanti dell’insegnante per creare, mantenere e (solo in particolari occasioni) ripristinare le condizioni che sviluppano l’apprendimento. L’insegnante di maggior successo affronta le gestione della classe come un processo teso a stabilire e a mantenere ambienti efficaci d’apprendimento. Gli insegnanti di minore successo affrontano la conduzione della classe come un processo che mira a “instaurare la disciplina”>>.

Convenire su queste definizioni significa affermare qualcosa di fondamentale, in quanto si sottolinea il concetto che un’efficace gestione della classe è condizionata da una pluralità di fattori che devono essere attentamente considerati dall’insegnante, ma soprattutto governati da una sua azione educativa competente.

Dalle ricerche effettuate emergono degli orientamenti estremamente importanti sul ruolo del docente all’interno del gruppo classe, sulla necessità di promuovere per prevenire inevitabili problemi in gruppo, sulla necessaria considerazione degli effetti della comunicazione non-verbale, sull’importanza del coinvolgimento degli alunni, sull’azione cooperativa in classe.

1 Il ruolo dell’insegnante nella gestione della classe

È necessario partire dal ruolo dell’insegnante nella gestione della classe, chi infatti, è chiamato all’insegnamento ha il dovere di assumersi tutte le responsabilità nella conduzione educativa e didattica degli allievi. Tutte le ricerche effettuate fin dagli anni ’70, dimostrano chiaramente ciò che sosteneva un grande pedagogista Italiano: <<Non c'è discorso sull'educazione e sulla scuola che non si puntualizzi naturalmente, ad un certo punto, nella constatazione che, non solo al centro di ogni efficacia educativa, ma alla base di ogni reale riforma della scuola, sta l'insegnante: con la sua maggiore o minore personalità e le sue effettive capacità, vale a dire con la sua preparazione fondamentale e la sua formazione ricevuta, col complesso, cioè, delle sue doti umane, culturali e didattiche>>. È l’insegnante il fulcro centrale di un ambiente educativo dove si svolgono processi didattici volti all’apprendimento degli allievi. E su questo occorre evidentemente riflettere, perché bisogna mettere in evidenza il concetto che il lavoro dell’insegnante è condizionato da alcune variabili che non è possibile dimenticare. Prima fra tutti, il fatto evidente che ogni insegnante è chiamato ad interagire con un gruppo. Come sostiene Doyle, occorre sottolineare che l’insegnante lavora con un gruppo di allievi in un determinato spazio ambientale, in un’aula. È questo un fattore non irrilevante, un conto è insegnare ad un allievo, offrire le proprie competenze didattiche ad un singolo ragazzo, individualmente e privatamente, ma un altro conto è cercare di articolare processi di insegnamento-apprendimento per venticinque studenti. <<Gli insegnanti incontrano gli studenti in gruppo giornalmente per un esteso periodo di tempo proponendo attività che non necessariamente coincidono con gli immediati interessi dei partecipanti>>. Per questo parliamo di “gestione”, non ci sarebbe motivo di affrontare la questione se non ci fosse la “classe”; questa realtà sociale, condiziona il lavoro dell’insegnante ed in qualche modo concorre a definire le competenze necessarie per gestirla.

Il ruolo dell’insegnante emerge in tutta la sua complessità, è suo il compito di impostare e mantenere un clima idoneo per l’apprendimento, le ricerche che abbiamo visto dimostrano come sia grande la sua responsabilità in questo senso. Offrono delle chiarificazioni evidenti sul fatto che il successo a scuola dipende enormemente dalla capacità dell’educatore di impostare un’accurata azione gestionale del gruppo classe, in grado di promuovere un clima educativo costruttivo capace di attivare l’interesse e l’apprendimento negli allievi.

Emerge il grande ruolo della comunicazione

L'educatore è un operatore della comunicazione e la utilizza in modo più o meno cosciente per far acquisire all'allievo tutte le informazioni di cui necessita. Ed è proprio sul fatto dell'essere più o meno consapevoli che bisogna soffermarsi per arrivare a chiarire, in maniera tale da non lasciare equivoci, che il linguaggio usato nella dinamica educativa deve essere concepito come uno degli aspetti più importanti della relazione.

Gli educatori debbono avere consapevolezza di essere agenti di comunicazione e ciò significa essenzialmente modulare messaggi verbali e non-verbali finalizzati a raggiungere obiettivi precisi.

La comunicazione è l'aspetto dinamico del rapporto docente-alunno. Chi insegna comunica delle informazioni ed il problema che riguarda "l'informazione", come contenuto dell'educazione, è fondamentale per riconoscere tutta la realtà dei rapporti che intercorrono tra educatore ed educando, senza dimenticare che esiste il problema, che tratteremo in seguito, di messaggi dell'allievo verso l'insegnante.

Al fine di comprendere meglio e chiarire tale questione è opportuno precisare alcuni principi base del processo di comunicazione.

Le ricerche della psichiatria americana ed in particolare la scuola di Palo Alto, hanno messo in luce come afferma Watzlawick, che "bisogna studiare le relazioni umane e considerare i problemi relativi non più come colpa di un individuo, ma come conseguenza di un sistema di relazioni". L'uomo va, quindi, considerato non come monade isolata ma come componente di una fitta rete di relazione dove le variazioni di un elemento si ripercuotono su gli altri e viceversa.

Di conseguenza sorge l'esigenza di studiare il singolo individuo nel sistema di vita in cui egli è situato, per pervenire all'idea che "la comunicazione interpersonale è governata da una serie di regole, le quali, operanti nella generalità dei casi al di fuori dello stato di consapevolezza individuale, possono essere più o meno rispettate dai soggetti interagenti, dando così adito ad un tipo di comunicazione efficace o disturbata".

Le regole, oramai note a tutti, affermano prima di tutto l'impossibilità di non comunicare; tutto è messaggio, anche il silenzio. Conseguenza evidente per l'educatore è di avere piena coscienza di questo problema nel rapporto quotidiano con gli allievi. In secondo luogo, ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto ed uno di relazione, ogni informazione che vogliamo far acquisire al soggetto viene definita non dai dati dell'informazione, ma dal modo in cui tali dati vengono espressi e compresi; per esempio, spesso ci viene chiarito il contenuto di un'informazione dal tono di voce, dalla mimica facciale dell'interlocutore, dal suo stato emotivo ecc. In terzo luogo, una precisa proprietà della comunicazione umana riguarda la punteggiatura della sequenza degli eventi. È molto importante, cioè, che coloro che partecipano alla comunicazione siano a conoscenza della sequenza di eventi che hanno concorso ad enucleare il messaggio. Inoltre, tutti gli uomini comunicano attraverso al comunicazione numerica e analogica, verbale, cioè, o non verbale, con prevalenza alterna secondo le varie esigenze, ed infine, la quinta proprietà mette in luce il fatto che le interazioni interpersonali sono o simmetriche, dove i soggetti sono tutti sullo stesso piano in condizione paritaria, o complementari, in cui uno dei soggetti è predominante nell'azione mentre l'altro segue passivamente.

Dalle riflessioni sulle varie problematiche inerenti la comunicazione interpersonale scaturiscono delle strategie operative che possono essere d'aiuto nel processo educativo-didattico.

Cosa occorre fare?

Alla luce delle esperienze fatte, riteniamo che non si possa ancora prescindere dai consigli di Jacob Kounin. Egli è riconosciuto come il vero capostipite degli studi sulla conduzione educativo-disciplinare del gruppo classe. I punti fondamentali del suo modello sono i seguenti:

Per condurre in modo adeguato un gruppo problematico è assolutamente indispensabile che l’insegnante sia “addentro” alle dinamiche della classe: deve essere in grado di capire in ogni momento cosa sta succedendo nell’aula, ma soprattutto deve dimostrare che è perfettamente capace di essere presente ad ogni accadimento, tutto ciò porta alla prevenzione continua di comportamenti inadeguati e alla promozione di comportamenti da parte dei ragazzi idonei. Questa consapevolezza di sapere cosa succede in classe è molto importante in quanto permette all’insegnante di poter operare preventivamente, intervenendo immediatamente di fronte ad un comportamento a rischio; offre anche l’opportunità di scegliere l’atteggiamento educativo più efficace in quel determinato istante, a volte è necessario non intervenire in modo “pesante”, richiamando l’allievo all’ordine di fronte all’intero gruppo, ma è possibile utilizzare metodi più misurati, come ad esempio, guardare negli occhi il soggetto facendo chiaramente intendere la nostra contrarietà. È molto importante, infatti, che gli allievi siano consapevoli che il proprio insegnante è in grado di conoscere in ogni momento effettivamente cosa sta succedendo il classe, per Kounin, questa impressione emanata dall’educatore, svolge un ruolo determinante nello scoraggaiare comportamenti inadeguati da parte degli studenti.

. Organizzazione della classe

Jones assegna molta importanza all'organizzazione fisica dell'ambiente di apprendimento. Di solito gli insegnanti non danno molta importanza a questo aspetto che invece può condizionare o migliorare la vita e la conduzione del gruppo. L'assegnazione dei posti, infatti, spesso viene lasciata alla libertà di scelta degli allievi. Le idee di Jones sotto questo aspetto sono restrittive, se tutto deve essere organizzato in modo tale che la vita di classe diventi un momento efficace e fecondo sul piano educativo, è necessario che l'insegnante governi non solo l'assegnazione, ma anche l'organizzazione fisica dei posti. È necessario mettere vicino o accanto allievi che possano trarre beneficio dalla loro prossimità. È, inoltre, opportuno disporre i banchi in maniera tale che il docente possa in breve tempo raggiungere qualsiasi allievo che chieda spiegazioni o si trovi in difficoltà. Nella visione di Jones, l'insegnante, per poter condurre in modo efficace la classe deve essere presente fisicamente, imporsi con la propria figura, camminare spesso tra i banchi, scongiurare con la propria presenza eventuali azioni o atteggiamenti inadeguati. Per operare "fisicamente" occorre, perciò, sistemare i banchi e le attrezzature della classe, facendo sì che il docente possa arrivare in prossimità di ogni allievo nel minor tempo possibile.

Il ruolo della comunicazione non-verbale

Per condurre la classe è necessario, per Jones, saper utilizzare il proprio corpo per comunicare agli allievi il rispetto delle norme stabilite. Egli sostiene che il 90% dei problemi disciplinari che sorgono in classe possano essere risolti con l'uso accurato del linguaggio non verbale. Fondamentale è saper utilizzare adeguatamente la respirazione, il contatto oculare, la vicinanza fisica, il portamento, le espressioni facciali.

Con la respirazione si comunicano molti messaggi; soprattutto nei momenti critici gli allievi riescono a capire gli stati d'animo degli insegnanti dalla pesantezza o dalla frequenza dei sospiri. Quante ansie nascoste si celano dietro una respirazione affannosa! I ragazzi sono maestri nel valutare l'ira crescente del proprio insegnante oppure nel giudicare inopportuno seguire un determinato comportamento inadeguato, vista la reazione del docente che suggerisce di non proseguire nell'intendimento deviante. La calma è sempre efficace nelle situazioni educative, permette di avere in mano la situazione e di operare senza errori nella relazione con il discente. Per mantenere un autocontrollo personale è perciò necessario modulare adeguatamente il proprio respiro.

Il contatto oculare, poi, assume un ruolo fondamentale per ovviare alle situazioni problematiche. Guardare negli occhi un allievo che sta iniziando ad assumere un determinato atteggiamento può indurlo a desistere e prevenire così ulteriori e gravi difficoltà. L'espressione degli occhi è altamente comunicativa; immediatamente i ragazzi possono percepire gli stati emotivi del docente ma anche i suoi desideri. Quindi, un insegnante capace di controllare la classe sa utilizzare adeguatamente il contatto oculare per prevenire azioni disturbanti o per sollecitare determinati atteggiamenti. In questo contesto le espressioni facciali possono completare il ruolo del contatto oculare, molte informazioni, infatti, si comunicano attraverso le espressioni dell'intero viso.

La prossimità fisica è, inoltre, la strategia vincente per molte situazioni particolari e a rischio.

Jones crede fortemente che l'azione "fisica" di un insegnante, la sua persona che si sposta verso l'allievo che disturba possano risolvere le questioni in breve tempo e senza strascichi. Il controllo prossimale permette al docente di contenere gli atteggiamenti anomali che, il più delle volte, cessano quando l'allievo vede arrivare accanto a sé l'insegnante. La presenza dell'educatore previene il comportamento inadeguato, ma anche promuove l'atteggiamento corretto. L'allievo che ha vicino un insegnante capace non assume atteggiamenti inopportuni e, quando questi si verificano, le problematiche possono essere risolte dal docente agendo in modo che il proprio corpo possa diventare uno strumento più incisivo nei confronti del ragazzo.

Come si può evincere da questi suggerimenti, Jones annette grande valore al corpo e, quindi, la comunicazione non verbale assume in tutte le sue forme un'importanza consistente. La postura che l'insegnante deve possedere in classe, ad esempio, non può non assumere significato educativo.

I ragazzi capiscono immediatamente, da come l'insegnante si muove ed agisce con il corpo, se è stanco, annoiato, oppure, se positivamente presente in classe. Il docente capace di condurre la classe è una persona che assume un portamento tale che di per sé emana rispetto. La sicurezza del comportamento si veicola anche con una postura eretta e fiera.

Inoltre

Non si gestisce una classe adottando un insegnamento tradizionale uguale per tutti, occorre essere capaci di impostare una lezione in modo tale che ogni allievo possa arrivare al medesimo obiettivo finale attraverso strade diverse. Fondamentale è acquisire l’abilità di saper condurre contemporaneamente più attività d’apprendimento, per diversificare la proposta educativo-didattica; tutto ciò significa saper fronteggiare le attività che si sovrappongono nel corso della lezione.

Gestire in modo significativo una classe significa anche dare senso e continuità all’azione formativa. I ragazzi necessitano di programmi didattici chiari ed interessanti. Tuttavia l’interesse non lo si raggiunge agganciando lo studente a qualche argomento a lui caro, ma lo si deve continuamente alimentare anche con la nostra azione didattica. Non si sostiene la motivazione al compito intrapreso se l’insegnante interrompe spesso la lezione, passa da un contenuto ad un altro senza evidenziare collegamenti, arresta per futili motivi la continuità di un discorso che, invece, merita di essere svolto in modo scorrevole e continuativo.

Occorre programmare bene la lezione in maniera tale che tutti possano avere sempre a che fare con un’attività ben precisa. Gli allievi devono costantemente essere impegnati in attività adeguate poiché molti problemi possono essere superati se l’insegnante riesce ad offrire a tutti continuità nel lavoro. La demotivazione spesso viene incrementata dal fatto che il ragazzo trova a scuola molti momenti vuoti, dove non c’è nulla da fare. È molto importante per gestire adeguatamente il gruppo classe che le varie attività siano strutturate in maniera tale che il ragazzo possa sentirsi sempre sollecitato all’apprendimento.

Le numerose ricerche che dagli anni settanta si sono messe in atto, hanno dimostrato in modo dato inequivocabile che <<l’insegnante può avere una profonda influenza sull’apprendimento dello studente anche in quelle scuole che sembrano decisamente inadeguate a portare a termine il loro compito>>.

In una recente meta-analisi, condotto su più di 100 studi, Marzano trova la conferma alla sua tesi principale, su cui ha costruito il suo modello: la qualità delle relazioni fra insegnante e allievo è la chiave di volta della gestione della classe. Egli scrive: <<Le nostre ricerche indicano che, in media, gli insegnanti che sono in grado di ottenere un’ alta qualità nelle relazioni interpersonali con i loro studenti hanno in un anno scolastico il 31% in meno di problemi disciplinari, di regole violate e di questioni ad esse collegate rispetto agli insegnanti incapaci di instaurare con i propri allievi un’alta qualità di relazioni interpersonali>>.

È auspicabile, quindi, che i risultati scientifici emersi dagli studi di questi ultimi anni fondino l’azione del docente in classe e il rapporto fra allievo ed insegnante, il quale deve strutturarsi su solide basi scientificamente fondate e verificabili, che non hanno nulla a che vedere con le caratteristiche della personalità del docente, con la sua naturale affabilità e dolcezza nelle modalità comunicative, o con l’idea assai diffusa che indica, come fattore fondamentale della relazione educativa, l’amicizia tra allievo ed insegnante.

Un rapporto veramente efficace è caratterizzato da specifici comportamenti che il docente mette in atto nella propria azione quotidiana educativo-didattica, primo fra tutti l’esibire livelli appropriati di dominanza e cioè, atteggiamenti sicuri, decisi, determinati, capaci di comunicare agli allievi autorevolezza, non certo prevaricazione e controllo. Marzano è convinto che l’insegnante, mostrando una personalità forte, consapevole delle proprie responsabilità e del suo valore, rappresenti per l’allievo una guida e un punto di riferimento ineguagliabili. La dominanza è, quindi, l’abilità del docente di guidare con mano ferma attraverso le proposte didattiche le relazioni in classe.

Per esibire una valida dominanza è però necessario che l’insegnante tenga presente tre fondamentali aspetti della vita educativa in classe:

  • Stabilire aspettative e conseguenze chiare

  • Stabilire chiari obiettivi d’apprendimento

  • Esibire un comportamento positivo

Innanzitutto, occorre che il docente informi gli allievi sulle sue aspettative circa il loro comportamento, poiché i ragazzi devono sapere ciò che è bene fare e ciò che non è bene fare, quello che l’insegnante si aspetta da loro in termini di risultati d’apprendimento e di atteggiamenti maturi. Marzano ritiene che questo debba avvenire attraverso due modalità:

fissare regole e procedure chiare.

Avvisare gli allievi sulle inevitabili conseguenze dei loro atteggiamenti.

Le ricerche che dagli anni ’80 sono state intraprese ci indicano come sia decisivo, per costruire un serio rapporto con i ragazzi e, quindi, gestire la classe in modo efficace, stabilire regole e procedure che vadano a disciplinare il comportamento generale all’interno dell’aula, nei lavori di gruppo, in quelli individuali, nei momenti ricreativi ed in quelli di maggiore impegno attentivo, all’inizio o alla fine della giornata. In questo senso Marzano ritiene importante che il docente non imponga agli allievi le regole ma, prendendo spunto dalle ricerche di Glasser, suggerisce di coinvolgerli nel fissare le norme che devono regolarizzare la vita del gruppo classe attraverso incontri e discussioni che favoriscano un generale consenso.

Molto importante è, poi, far seguito alle decisioni prese in modo comunitario. L’insegnante deve essere credibile agli occhi dei ragazzi e ciò viene favorito dalla serietà dei suoi atteggiamenti nei confronti di quelle persone che non rispettano i patti e le regole stabilite. Un’efficace relazione si costruisce anche per mezzo delle azioni educative volte a redarguire un comportamento inadeguato o a premiare un atteggiamento positivo. I ragazzi desiderano un insegnante capace di tener fede agli impegni presi, in grado di esercitare la sua autorità per sanzionare comportamenti inaccettabili.

Per Marzano è inoltre molto importante che l’insegnante consolidi la sua dominanza anche attraverso l’insegnamento. L’autorità si conquista facendo bene il mestiere dell’insegnante e ciò significa essere capaci di promuovere l’apprendimento con facilità. Tutti gli allievi devono raggiungere gli obiettivi del programma scolastico e questo deve essere favorito dalla capacità del docente di proporre attività idonee, di comunicare con chiarezza gli obiettivi didattici all’inizio della proposta operativa, di provvedere a restituire ai ragazzi rimandi efficaci circa il loro impegno nel compito, di ricordare frequentemente le aspettative attese, di fornire frequenti feed-back circa i risultati ottenuti.

L’idea di Marzano è fondata sulla chiarezza, egli struttura il suo modello di gestione della classe basandolo sulla comprensibilità dell’azione educativo-didattica del docente. Ogni attività da proporre in classe, ogni regola e ogni norma, ogni obiettivo da raggiungere deve essere chiaro e facile da capirsi.

Per strutturare un rapporto solido e valido in classe è poi necessario progettare una vita di gruppo a forte impianto cooperativo. Occorre che ciascun allievo sia coinvolto nella vita degli altri, attento alle necessità dei compagni e ciò può avvenire se l’insegnante è in grado di dosare adeguatamente la dominanza con la cooperazione. All’interno della classe vi è bisogno di entrambe queste prospettive, l’una non esclude l’altra, la dominanza del docente non esclude la cooperazione ma, anzi, ne è il necessario supporto. Si lavora bene in gruppo in un ambiente dove si afferma l’autorità del docente: i ragazzi operano ed agiscono in gruppo, lavorano e ricercano la cooperazione solamente se percepiscono la dominanza, non coercitiva, ma discreta, attenta rispettosa e visibile dell’insegnante.

L’allievo in classe

I problemi che presenta l’allievo con disabilità uditiva a scuola sono consistenti e meritano attenzione da parte degli insegnanti: si possono ottenere risultati molto significativi, ma anche cocenti esperienze negative se la competenza degli educatori non si esprimere ai massimi livelli.

Per favorire una corretta integrazione in classe dell’allievo con disabilità sensoriale è molto importante rinforzare i legami sociali all’interno del gruppo classe. Le attività che promuovono collaborazione e lavoro comunitario nel piccolo gruppo sono perciò da incentivare. Naturalmente i compagni di classe hanno bisogno di essere informati circa i problemi che il soggetto presenta e su come aiutarlo a superare con opportuni accorgimenti le sue difficoltà.

Lo studente con deficit uditivo dovrebbe avere sempre una chiara visione del viso dell’insegnante e dei compagni che collaborano con lui. È necessario ricordare che l’allievo con deficit uditivo ha una sua postazione in classe e che ogni movimento del docente provoca difficoltà al ragazzo in quanto cambiando la prospettiva visuale si pongono problemi, per superare i quali è opportuno, quando è possibile, favorire le discussioni di gruppo, porre in circolo i ragazzi, ricordare di parlare uno alla volta e di rivolgersi con il viso al compagno con difficoltà uditive. Inoltre è necessario, per facilitare l’apprendimento dell’allievo, utilizzare gli strumenti visivi a disposizione: istruzioni scritte sulla lavagna, lucidi, presentazioni in power point, sintesi scritte da consegnare preventivamente, video che facilitano la comprensione dell’argomento in esame.

È evidente che il soggetto con disabilità uditiva, per poter seguire e comprender ciò che accade in classe, ha bisogno di mettere in campo una capacità attentiva che comporta un dispendio di energie personali consistente; può, quindi, facilmente distrarsi, in questo caso è opportuno che l’insegnante adotti delle tecniche affinché rientri nel compito, come, ad esempio, toccarlo dolcemente, muovere le mani richiamandolo alla concentrazione, accendere segnali luminosi capaci di indicare al ragazzo il problema.

Un accorgimento costante per aiutare l’allievo è poi quello di verificare frequentemente e individualmente le sue acquisizioni.

Conclusioni

La disponibilità è certamente un prerequisito essenziale per poter insegnare, com’é altrettanto importante essere intenzionalmente portati a farsi carico delle problematiche educative che i ragazzi presentano. Le competenze del docente, inoltre, si completano naturalmente anche con le sue specifiche conoscenze professionali relativamente alla disciplina che è chiamato ad insegnare. Emerge, però, in tutta la sua portata una competenza in passato spesso trascurata: la capacità di gestire la classe per le integrazioni, oggi più che mai indispensabile.

Si è voluta porre l’attenzione anche sul tema delle integrazioni, pienamente consapevoli della necessità di favorire un ambiente educativo capace di accogliere e valorizzare le differenze individuali. Ciò che conta veramente è permettere ad ogni allievo di incamminarsi verso il proprio progetto esistenziale con l’aiuto degli altri, accanto ai propri compagni, rispettando le diversità culturali e sociali, vicino alle sofferenze altrui. Come afferma Buber: << Il fatto fondamentale dell’esistenza umana è l’uomo-con-l’uomo>>, gli altri non sono i nostri antagonisti, non sono mete da superare, ma sono una risorsa infinita per la nostra maturazione personale e spirituale.

La scuola è chiamata a corrispondere a queste esigenze, è chiamata ad educare le nuove generazioni al rispetto per tutti; poco importa se l’altro è di colore, o cattolico, o mussulmano, o con deficit, indispensabile è vedere in lui una persona che ha dignità e che è chiamata con me ad impegnarsi nella vita.

Bibliografia relatore

L. D’Alonzo, Gestire le integrazioni a scuola, La Scuola, Brescia, 2008

L. D’Alonzo, Integrazione del disabile. Radici e prospettive educative, La Scuola, Brescia, 2008.

L. D’Alonzo, Pedagogia speciale per preparare alla vita, La Scuola, Brescia, 2006

L. D’Alonzo, La gestione della classe. Modelli di ricerca e implicazioni per la pratica, La Scuola, Brescia, 2004.

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